Oggi ho letto un bel post di Mafe De Baggis sulla gentilezza.
Su suo consiglio ho pure letto quello di Arianna Chieli, lo trovate qui.
Di nuovo la gentilezza a farla da padrona.
Non la professionalità, le competenze, la figaggine, il carisma, l’ultimo modello di push-up e via dicendo.
Gentilezza.
Che dovrebbe essere sorella dell’empatia, cugina della sensibilità… o almeno nipote di terzo grado dell’educazione.
Oggi sono stata da un dottore e ho pensato che questi post li doveva leggere lui.
Un medico che, infilandomi due dita nella vagina, mi fa: “quindi lei cerca persone, persone per le aziende -pausa di sospensione, che non capisci se sta sondando seriamente l’utero o se sta interrogando i suoi neuroni per elaborare e interpretare il concetto di “selezione del personale” (non ho detto recruiter, giuro!!)- ma è gente che lavora col computer quindi? No perchè il mio vicino di casa è fortissimo coi computer, casomai glie lo dico ehhh?!”
Ora, io faccio un lavoro che mi porta a capire gli “stili” delle persone, il loro tipo di approccio, il colore.
La mia anima scout poi, mi conduce a coglierne sempre il meglio, (quando un meglio c’è).
Di conseguenza io so bene che un’apparenza arrogante, una percezione di aggressività così come un atteggiamento perfezionista o al contrario frenetico, fanno parte di un codice comportamentale ben definito, che a sua volta risponde a un modo preferito di interagire con il mondo, con gli eventi e con le persone.
E mi fermo qui, che non voglio passare per un’analista improvvisata.
In sostanza comunque so osservare chi ho di fronte con la necessaria lucidità: mantengo l’equilibrio e soprattutto interpreto le persone andando oltre ciò che dicono, sospendendo i giudizi, cogliendo le sfumature che colorano il loro modo di porsi (nel lavoro) e a mia volta faccio il possibile per armonizzarmi con l’interlocutore, per trovare una sorta di sintonia comunicativa (sintetica con i rossi, dettagliata con i blu, amichevole con i gialli, pacata con i verdi): lo faccio ogni giorno, a colloquio, con i miei candidati.
Non giudico le persone, valuto i comportamenti e le competenze, sia hard che soft, in funzione di cosa cerca il mio cliente, distinguendo i modi dalle intenzioni.
Quando passo dall’altra parte del tavolo invece… uguale.
Anzi peggio.
Deformazione professionale vuole che io distingua automaticamente tra forma e sostanza, andando a isolare il cosa dal come.
Insomma, so cogliere il messaggio spogliandolo del messaggero se questo è poco piacevole ma tecnicamente capace.
E non solo perchè quando si ha bisogno di uno specialista si lascia correre il fatto che sia simpatico o antipatico, ma perchè ho imparato che stili differenti dal mio possono provocarmi certo, ma anche stimolarmi a vedere le cose in modo diverso e quindi aprirmi verso nuovi approcci.
Ho imparato a non chiudermi come un riccio e nemmeno a reagire incazzosa (che operò ogni tanto ci vorrebbe perchè tanto l’incazzatura arriva… dopo).
Ho imparato che quello che mi ferisce un po’ mi guarisce.
Però, lasciatemelo dire: che due maroni!
Sta roba, talvolta, è un inculone pauroso.
Significa accettare (e un po’ giustificare) modi bruschi perchè “in fondo il suo lavoro lo sa fare, è che dovrebbe bere latte ed empatia la mattina al posto del caffè”.
E non conta che operi come medico della mutua o sia uno specialista super-pagato.
Il mio peraltro appartiene alla prima categoria, che io sono anche pirla oltre che intuitiva: non ho un ginecologo mio, mi affido alla sanità pubblica quando (raramente) serve, credo nel sistema e pago il ticket che c’è da pagare (mica mi visitano gratis a me).
Era un controllo, niente di grave ehhh, ma sai com’è… una accusa qualche malessere strano e tien botta (sarà stanchezza), poi il malessere dura un mese, escludi un paio di cose ovvie (tipo accendi-spegni o stacca e rimetti la spina) e poi vai dal medico di base, che consiglia un accertamento e analisi del sangue.
Ok, speravo in un sano integratore di vitamine e ferro ma vabbè, approfondiamo…
Quindi, caro il mio dr. House de noantri che “so tutto io e tu mora sei una tipa uterina prossima alla crisi di mezza età, piene di turbe mentali che deve mettersi tranquilla e andare in ferie”,
a me si sfracellano gli zebedei a dover far lo sforzo, trattenendo le lacrime, di capire che sotto sotto non sei un incompetente-stronzo-insensibile e sai fare (tecnicamente) il tuo lavoro, a capire che, in mezzo alle boiate che mi stai dicendo, c’è anche qualcosa di utile, a trovare persino il modo per mettermi sulla tua lunghezza d’onda e migliorare la (seppur breve e speriamo unica in vita) relazione che abbiamo.
E alla fine ok, ti sei ammorbidito e mi hai guardata con occhi quasi umani, arrivando a confidarmi cose che fanno parte del tuo bagaglio di medico e che mi hanno fatto capire che la parte hard delle competenze è solida, ma lo hai fatto perchè io ho colmato la distanza che ci separava.
Io, che avevo bisogno di essere visitata e rassicurata sulla mia salute, io che non mi hai mai vista prima e non sai come potrei reagire ai tuoi modi paternalistici e strafottenti.
Io, che sinceramente non ho voglia di lavorare anche quando mi ravanano le ovaie.
Io, non tu, che bastava fossi solo un pelino più educato se la sensibilità non è nelle tue corde.
Beh sai cosa ti dico?
GaC!
E sono stata pure gentile: ho usato l’acronimo!The Exception streaming
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