Mia mamma me lo diceva sempre “L’erba voglio non cresce neanche nel giardino del Re.”
Un mantra, una regola di vita, un motto imprescindibile che mi ha sempre accompagnata, mi ha cresciuta e mi ha osservata, pronto a bacchettarmi all’occorrenza, disputandosi la spalla con l’angelo custose.
#sticazzi (scusa mamma)
Certo, la Luisa voleva insegnarmi l’educazione.
Voleva, non ho usato un termine a caso. Era molto determinata lei: non desiderava che fossi una bambina per bene, lei lo voleva proprio, e faceva tutto il possibile.
“Io voglio” non si dice, è tabù (non solo per me immagino): pare poco gentile, pare esigente, pare irrispettoso.
E allora dacci dentro di condizionali e di surrogati al concetto più semplice del mondo: vorrei, desidero, auspico, mi piacerebbe, ne sarei felice… fino a confondere il volere con il meritare. Posso?
Anch’io voglio insegnare a Ettore il rispetto e un minimo di bon ton.
Ma volere è un diritto e in quanto tale io spero che Ettore voglia, intensamente voglia ciò che reputerà importante per lui.
Lo desidero (lo voglio) perché incontrando tante persone per lavoro mi rendo conto che spesso non mancano le competenze, le conoscenze, le potenzialità: manca la voglia, anzi il volere, (che poi le due cose sono diverse ma legate strette).
Manca insomma quel “io voglio” che ti porta a farti il culo senza risparmiare energie, e prima ancora manca una vera chiarezza rispetto alla direzione, alla meta e ogni passo è vano perché non ha destinazione: manca quel moto della pancia e del cuore che porta testa e gambe lontano.
Non sogni da riporre in qualche angolo della mente, ma obiettivi chiari per i quali darci dentro a bomba.
Pare facile, ma non lo è. Che siamo troppo abituati al condizionale, a chiedere il permesso anche a noi stessi.
Abbiamo i cassetti pieni di desideri e la scrivania sgombra da progetti, e la cosa peggiore è che li confondiamo: scambiamo i desideri per progetti e viceversa.
Io ho capito che voglio, voglio un sacco di cose, e di non cose.
E non è che le desidero, e non è che le pretendo: le voglio proprio.
La differenza è semplice.
Desidero qualcosa che potrebbe anche non accadere e lo so in partenza, mi impegno ma non mi struggo e non mi distruggo. Desidero qualcosa anche solo per il gusto di desiderarla, magari non la voglio davvero, e potrebbe pure starmi bene che rimanga solo un desiderio con cui addormentarmi la sera sorridendo. Desidero cose che non dipendono solo da me.
Pretendo poco e pretendo soprattutto da me stessa: niente ma e niente se, su certe cose non si discute. Ecco, pretendo le cose su cui non sono disponibile a discutere.
Voglio quello per cui sono pronta tirarmi su le maniche ogni giorno. Voglio raggiungere obiettivi fatti di fatti più che di emozioni e valori. Voglio pensare che ciò che voglio sia in mio potere raggiungerlo, realizzarlo, concretizzarlo.
Per capirci desidero un altro figlio ma non mi accanisco, ci metto del mio (ca va sans dire), ma poi lascio che siano natura e provvidenza a decidere.
Desidero correre la maratona di New York e salire l’Aconcagua. Desidero una cucina grande almeno il doppio di quella attuale e un armamento di pentole come quello della Pina. Desidero pure una terza di reggiseno e riuscire a camminare con i tacchi a spillo (ma succede solo un paio di volte l’anno, per entrambe le cose).
Invece pretendo da me stessa il rispetto dei principi che non ammettono compromessi. Pretendo di insegnare a Ettore il valore della vita, del lavoro e della passione, il rispetto per la natura oltre che per le persone. Pretendo da me stessa l’onestà di riconoscere quando fuggo e quando mi nascondo dietro a un dito. Pretendo di portare più gioia che dolore. Pretendo di ricordarmi di dire grazie, ti amo e ti voglio bene.
Voglio, e qui si apre un mondo.
Voglio restare freelance per tutta la vita e per tutta la vita voglio fracassare i maroni a Fra perché metta in ordine le sue cose (non esiste che lo faccia un’altra, magari pure bionda).
Voglio aprire un blog che parli del mio mestiere e che sia utile a chi cerca lavoro.
Voglio fare sempre meglio il mio lavoro (possibilmente con le persone con cui sto lavorando ora) e voglio arricchirlo di cose che mi piacciono: la scrittura e la formazione.
Voglio leggere tanto.
Voglio correre, in montagna.
Voglio cucinare e impastare, tanto e bene, fino a consumare la planetaria e doverne prendere una più potente.
Voglio fatturare a sufficienza, anzi un po’ di più.
Voglio che Ettore ami la montagna più del mare (sì, lo voglio, ed è puro egoismo il mio).
Voglio riprendere ad arrampicare e a fare scialpinismo.
E più banalmente voglio un abbattitore di temperatura e un paio di sci da skialp nuovi.
Voglio… insomma avete capito il concetto.
Non sono desideri che addolciscono i miei sogni: sono obiettivi per i quali stabilire dei tempi e darsi un bel po’ di disciplina, invocare la provvidenza (sempre e comunque, tanto per non sbagliare) e soprattutto applicarsi un po’ ogni giorno.
Non lo so se spunterò ogni voce della mia (inesauribile) lista, ma io ste cose le voglio, non prendertela mamma.
E non credo che sostituire il termine “voglio” con un più educato e timido “desidero”, possa aiutarmi a portare a compimento i miei obiettivi.
Perchè poi ho una teoria secondo la quale se ti applichi con passione sulle cose che vuoi, rispettando i principi che pretendi di non tradire, per qualche magica ragione si avvereranno anche molti desideri.
L’erba voglio io non so di che tipo sia, ma la voglio nel mio giardino e il Re che pianti pure delle margherite.
E voi dovreste volere queste brioche buonissime: Orange Sweet Rolls, tratte senza alcuna modifica dal libro Soffice Soffice di Morena Roana.
Io ve lo giuro: sono buonissime.
Orange Sweet Rolls
Ingredienti
300 gr farina 00
200 gr farina manitoba
15 gr lievito fresco
250 latte tiepido
100 gr zuccheto
80 gr burro fuso
2 tuorli
1 arancia
5 gr sale
per farcire:
burro fuso qb
scorza di arancia
zucchero semolato
latte, miele e zucchero in granella qb per completare
Come si fa…
- In una scodella mescolate metà del latte con il lievito e 3-4 cucchiai di latte per formare una crema; copritela con uno strato di mezzo cm di farina e poi con la pellicola e lasciate lievitare al caldo per circa 30 minuti (finchè vedrete comparire delle crepe sulla superficie della farina). Potete fare questo lievitino direttamente nella ciotola della planetaria se la usate.
- Aggiungete lo zucchero, quasi tutta la farina, il latte rimasto, le uova e la scorza d’arancia grattugiata e impastate fino ad ottenere una massa incordata.
- Aggiungete a filo il burro, il sale e gli ultimi cucchiai di farina: riprendete l’incordatura.
- Spostate l’impasto sulla spianatoia e lavoratelo con le mani qualche altro minuto, poi formate una palla liscia e mettetela a lievitare in una ciotola fino al raddoppio.
- Stendete la pasta in un rettangolo spesso poco meno di 1 cm, spennellatelo di burro, cospargetelo di zucchero e di scorza d’arancia.
- Arrotolate partendo dal lato più lungo, avvolgete nella pellicola e riponete in frigo per almeno un’ora (max 2).
- Togliete la frigo e tagliate fette dello spessore di 2 cm circa, posizionatele sulla placca del forno rivestita da carta forno.
- Schiacciate i rolls leggermente con le mani e fateli lievitare per circa un’ora o fino a quando toccandoli con un dito, rimarrà l’impronta per qualche secondo.
- Spennellate con latte e miele, cospargete con zucchero in granella e cuocete a 180° per 12 minuti circa.
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