Io odio vestirmi.
No, non desidero girare come natura mi ha fatta, è che vivo con grande ansia la scelta di cosa mettermi ogni mattina prima per andare al lavoro. Ma tanta, tanta ehhhh, e la frase che risuona in casa nostra è sempre la stessa “Io odio vestirmi!”
Lo so, non è una grande scoperta, basta osservare in che modo dis-abbino i diversi capi e registrare l’ecocardiogramma piatto del mio fare shopping.
Spero sempre che le mie sorelle dismettano qualcosa, Lidia soprattutto, che ha decisamente buon gusto nel comprare abiti.
È sua la gonnellina arancione minimalista che ho sfoggiato in casa nell’ultimo periodo, ricevendo pure apprezzamenti da Fra (ripeto, era davvero minimalista).
Fino al giorno in cui mia sorella è venuta a trovarmi, mi ha guardata e mi ha detto:
“Roberta, guarda che quella stoffa che ti fascia le chiappe in realtà è un top, non una gonna.”
Avete capito, il problema è serio.
Non amo fare shopping, e non è solo che mi rompe star lì a provare gli abiti (soprattutto se c’è tanta gente in negozio e non ho nessuno che mi consigli), il problema è a monte. Io non riesco ad attribuire il giusto valore aggiunto agli abiti e quindi spesso e volentieri i prezzi mi scoraggiano, perchè penso che sto rubando budget all’abbattitore, a libri, a un capo tecnico per la montagna, a una scorta di farine speciali, a una cena fuori. A cose che, nella mia percezione, hanno molto più significato di una gonna e una maglia.
Sono fatta strana per essere una donna. Che poi con le scarpe è la stessa identica cosa.
Temo di non essere mai stata educata in tal senso. Vestirsi a casa nostra era più che altro una necessità: sì c’era l’abito della festa, quello per andare a Messa per intenderci, negli altri giorni invece si privilegiava la comodità (e l’economicità). Io sono “pro altri giorni”, mia sorella Lidia è sempre stata “pro Messa”.
Crescendo la mia sensibilità è cambiata solo perchè pure io ho capito che all’università non ci potevo mica andare (sempre) in tuta, figuriamoci quando sono stata assunta in un ufficio.
Improvvisamente scegliere i vestiti è diventato un obbligo, un male necessario.
Quello che però non ho mai imparato (e quando dico mai intendo proprio mai) è a riconoscere il bello.
Ho sempre bisogno che qualcuno mi segua quando faccio acquisti. E quelle rare volte che rischio e decido per conto mio sbaglio, è matematico!
Che poi lo capisco anch’io quando sono vestita bene, quando compro un capo di qualità o più spesso quando faccio compromessi che poi so mi pentirò. Ma se non mi guidano e non mi convincono io tiro indietro, opto sempre per il meno peggio.
Che è peggio!
È che nelle mie priorità, questa cosa dei vestiti belli, è tipo al… 79simo posto.
O almeno lo era fino a qualche tempo fa.
Sì perchè ho la sfortuna, o fortuna, di lavorare con persone molto curate e soprattutto capaci di usare gli abiti per valorizzarsi.
Alice e Cristina sono le mie colleghe e sono maestre di eleganza anche quando si infilano jeans e maglietta.
E io un po’ le detesto per questo.
Sono certa che il loro armadio glie l’ha venduto Mary Poppins in persona.
C’è tutto quello che serve, accessori compresi e loro hanno la capacità (per me è magia) di scegliere, abbinare e saper portare.
E vi assicuro, che anche per una impermeabile come la sottoscritta, che del suo non-stile ha quasi fatto un portabandiera, che W le birkenstock anche ai matrimoni, che “io la moda non la guardo” (ma sarebbe meglio dire “non la riconosco”), che la comodità prima di tutto, che “non esiste che pago 70 € una camicetta”, ecc… insomma anche per me confrontarsi quotidianamente con questi due modelli di stile, a un certo punto mi ha portata a farmi qualche seria domanda.
Quelle psicologiche ve le risparmio, qualcuno potrebbe dire che non mi voglio abbastanza bene da dedicare abbastanza attenzione alla cura della mia immagine, e che si sa, la forma è sostanza, quindi cosa c’è che non va Robertina cara?
Lasciamo stare, queste me le sbrodolo da sola.
L’altra domanda è: voglio continuare a vestirmi come quando andavo all’Università? (ed era la fine degli anni 90, ve lo ricordo). NO!
È un po’ come in cucina: una cosa è minestrare il risotto e un’altra cosa è impiattarlo.
È lo stesso risotto? NO!
Negli ultimi 7-8 mesi quindi ho fatto (un po’) più attenzione, mi sono curata di più (sempre in modo proporzionato alle mie capacità e alla mia pazienza, ancora non mi trucco, sia chiaro).
Ho comprato due paia di scarpe carucce e a volte indosso i tacchi anche se non devo andare da clienti.
Ho districato, con non poca pazienza, una matassa di collanine che tenevo chiusa in una scatola, non sono molte ma almeno adesso le uso.
Ho deciso che a ogni cambio di stagione selezionerò gli abiti secondo questo criterio: se un capo non viene usato per due anni di fila ed è ancora portabile deve essere donato a chi potrebbe usarlo.
Continuo a far tesoro degli abiti di mia sorella stilosa ma eri sono andata pure a fare un po’ di shopping con Ettore (che giuro mi ha consigliata, poi però io mi sono fidata di più della commessa).
Risultato?
Non sono ancora all’altezza delle mie colleghe e al mattino vestirmi resta un’attività che salterei a pié pari, però è un po’ la scoperta dell’acqua calda che a curare il fuori ne guadagna anche il dentro (e viceversa, si capisce).
Quando indosso qualcosa di carino e che sento bene addosso, io sto meglio.
Non mi sento necessariamente più bella o più in tiro, ma MEGLIO, direi quasi PIU’ ADEGUATA.
Non credo che farò mirabolanti passi avanti in questa disciplina, più facile che io impari a impiattare piuttosto che a fare shopping in modo professionale, diciamo che mi accontento della sufficienza. Però sono felice di “aver dovuto” fare i conti con questa criticità, e le mattine che mi piglia più male del solito sono quelle in cui mi fermo e mi impongo di vestirmi ancora meglio.
Pure l’umore ne guadagna, dopo lo sforzo.
Resta il fatto che appena rincaso la prima cosa che faccio, seconda solo a mettere il gelato in congelatore se ho appena fatto la spesa, è cambiarmi e infilare qualcosa di comodo.
Ma volete sapere una cosa? Anche a casa la sciatteria, di cui detenevo il primato olimpico, è stata bandita. E questo mi vale un bell’8!
A proposito di impiattare invece, quanto sono belli i piatti neri?
Tantiiiiiiiiissssimo.
Li ho usati in questa ricetta semplice e buonissima: un mix di pesce al forno marinato al curry con pomodorini confit.
Potete scegliere il pesce che più gradite: io ho usato la trota salmonata, che amo tanto, ma via libera a branzino, orata o altro.
I pomodorini confit vi consiglio di prepararli il giorno prima, qui la ricetta (si trovano anche nei banchi gastronomia dei supermercati o sott’olio ma io preferisco farli da me).
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