Seconda puntata della serie “gli ingredienti che non mancano mai”, quei sapori e quegli elementi gastronomici che sono alla base della cucina (della mia almeno), quelli che raramente resti senza (e quando succede è la tragedia), quelli che “mal che vada impasto qualcosa al volo”… sì insomma sale, farina, zucchero, olio e qualcos’altro che scoprirete se avrete la bontà di seguirmi (e io la costanza di scrivere).
Ho iniziato con il sale, oggi è la volta del pepe.
Il PEPE, da non confondersi col peperoncino sul quale le metafore si sprecano: insomma, non serve che vi spieghi io la simbologia che si nasconde dietro al rosso peperoncino, e per quanto lo ami (in cucina così come nella vita), ritengo che il pepe sia molto più interessante da indagare, da assaporare, da abbinare e da vivere.
Faccio subito outing: non sono un’esperta di pepi, a casa nostra solo pepe bianco e pene nero (beh anche pepe verde e pepe rosa ma più in là non mi spingo). Però mi piace questa cosa di associare l’ingrediente a un aspetto della vita e il pepe per me rappresenta l’intrigo e l’ingaggio, la relazione e il limite, le persone e me stessa, il lavoro e la montagna. Chiaro no?!!
No, forse no in effetti.
Ok, mi spiego meglio: se il sale è ciò che dona sapidità ed esalta i sapori rendendo la quotidianità gustosa e interessante, il pepe è quel tocco che crea stupore, che all’inizio non te l’aspetti e in un secondo ti conquista, è quel di più che modifica il sapore, che non lo nasconde bensì lo arricchisce, che introduce una nota pungente, piacevole e stuzzicante.
Metto pepe su molti piatti, ma non su tutti, vivo il pepe cercando di dosarlo ma con una certa spensieratezza, senza farmelo mai mancare perchè il pepe è un po’ il sale della vita (battutona).
Intrigo e ingaggio dicevamo.
L’intrigo è conoscere persone e allacciare relazioni (e collaborazioni) stimolanti, che solleticano la mente e risvegliano emozioni, che accendono connessioni e partono scintille, senti che i giri aumentano, senti che c’è sintonia e che insomma… c’è pepe. Il sapore esplode in bocca e sconquassa la pancia, i neuroni vanno a mille e l’entusiasmo si contiene a fatica, capisci che stai crescendo, che stai cambiando, che un po’ evolvi. Non so se vi capita, a me sì (sono una donna fortunata lo so) e quando succede beh… è energia che si sprigiona, è riuscire a scorgere il senso e a sfiorare la magia che scaturisce solo dal contatto con l’altro.
Mi succede spesso nel lavoro poichè ho il grande culo (diciamocelo) di interagire con tanta gente, di incappare in progetti stra-ordinari, di collaborare con persone speciali, di partecipare a eventi, di fare formazione, di confrontarmi con menti e cuori che… #tantaroba.
Non solo nel lavoro, le relazioni potenti, le relazioni di pepe, si nascondono dietro e dentro le passioni, in una cucina, in un rifugio, ovunque ci siano persone può accendersi la scintilla e sprigionarsi l’energia, il mondo delle foodblogger è un altro settore particolarmente vivace… ma l’ambito professionale resta il mio macinapepe preferito #sapevatelo
L’ingaggio è la montagna: la corsa è il sale, l’alpinismo è il pepe per intenderci.
C’è pepe quando arrampico con Fra, quando insieme conquistiamo una vetta in quota, quando affronto il temuto ghiaccio o calzo i ramponi all’alba che ancora la mente non si è svegliata e i gesti vanno in automatico, quando chiudo gli sci e senza alcuna eleganza ma con tanto entusiasmo mi gusto la discesa conquistata con le pelli e con bolzanine talvolta incerte. C’è pepe quando danzo sul limite, il mio, che per molti è poca roba ma per me è il confine col vuoto; quando gioco con le mie possibilità e provo a spingere un po’ di più, e mi accorgo che oltre non c’è il vuoto, ci sono ancora io.
Pepissimo quando sono in testa, quando tiro insomma, quando mi prendo i miei 30 secondi e supero un passaggio ma c’è mancato tanto così a mollare e cedere il passo a Fra (urca che pepe in quei momenti); quando accellero al massimo per capire fin dove posso arrivare, fin dove regge il cuore, fin dove le gambe tengono, fin dove la testa spinge; quando sono là e mi vengono i lacrimoni perchè cazzarola… c’è qualcosa di più bello? (sì forse, ma quando sei lì te lo dimentichi).
Intrigo nella relazione, ingaggio in montagna… questo è il mio pepe, e guai a restare senza.
Un po’ di pepe anche nella ricetta, che oggi è solo un pretesto, si capisce. Niente che vi sconvolgerà la vita ma un piatto facile, sano e buono, con un po’ di colore (che a mia mamma piace tanto), pure leggero e di stagione.
Potete sostituire la platessa con altro filetto di pesce (il merluzzo, la trota…). Il pepe in questo caso è bianco, a mio avviso si sposa meglio con le zucchine, se preferite provate a cambiarlo, l’importante è che ne mettiate un po’… non rinunciate mai al pepe mi raccomando, fa la differenza!
Platessa al vapore con zucchine, datterini e fiori di zucca
Ingredienti per 2
2 filetti di platessa
3/4 zucchine (dipende sempre dalla grandezza e da quanto contorno volete)
15/20 datterini
4 fiori di zucca
sale nero dell’himalaya qb
pepe bianco qb
olio e aromi (timo nel mio caso) qb
Come si fa…
Lavate la verdura, tagliate in due i datterini, delle zucchine se sono piccole tenete tutto, se sono grandi ricavate solo la parte verde e tagliatela a tocchetti più o meno della stessa dimensione, chiarificateli (passaggio facoltativo ma consigliato) cioè bolliteli 30 secondi in acqua non salata e passateli immediatamente in acqua fredda (serve a fermare il colore brillante). Pulite anche i fiori di zucca.
Cuocete la platessa al vapore per circa 5 minuti.
Nel frattempo saltate zucchine e pomodorini in una padella con un po’ d’olio, sono sufficienti 7/8 minuti: deve cuocere ma restare un po’ croccante, unite i fiori di zucca a fine cottura, salate leggermente con sale normale.
Unite la platessa, fate insaporire due minuti aggiungendo il sale nero, il timo e una spolverata di pepe bianco.
Et voilà, il gioco è fatto, la cena è servita e il pepe ci mette del suo!
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