Non sono mai stata brava a riposarmi.
Più che altro ho sempre concepito il riposo come il fare qualcosa che mi piace. Per ricaricare le batterie.
Non ho mai assomigliato alla Venere che vedete qui…
E quindi la corsa, la cucina, la montagna, i mille progetti, i blog, la lettura… ecco forse quando leggo mi avvicino a quel concetto di riposo che la gente ha in testa.
La sera, prima di collassare.
Ho anche due brutti vizi, lo riconosco:
- pensare che se le cose non le faccio io non verranno fatte, si genererà il caos, la casa esploderà, il cielo crollerà, gli animali si estingueranno e il mondo finirà!
- vivere l’assenza di attività come un vuoto temibile che conferma la mia inefficienza, pigrizia, indolenza, ecc… una sorta di horror vacui a cui reagisco più o meno così…
Per questi due motivi io devo sempre avere qualcosa da fare, SEMPRE!
Perchè il fare riempie spazi, tempi ma anche paure e insicurezze.
In questi giorni sono in tanti a chiedermi “ma quando ti fermi? non lavorerai mica fino al giorno del parto vero?!”
E Pozzan che mi dice “No Roberta, questa selezione non la puoi seguire tu, stai per partorire!”
PANICO
Vedo le giornate svuotarsi, l’agenda ha sempre meno appuntamenti e mi sento soffocare dal vuoto.
No, non resto a casa, cosa farei a casa?
È triste questa risposta? Me lo sono chiesta.
Mi sono chiesta se per caso mi sto davvero esaurendo nel lavoro perdendo di vista tutto il resto, me compresa.
E la risposta è “Un po’!”
Un po’ sì, e me l’aveva detto anche Mariachiara qualche mese fa, “stai attenta, non può essere tutto lì, non può essere così invadente” mi diceva… saggia donna.
È che quando mi dicono le cose io vado avanti per la mia strada, quasi per partito preso.
“Sembri così intransigente e inarrivabile, ma non è mica vero” mi ha detto ieri Lavinia (ho amiche toste, lo so!).
E ancora “Il lavoro non può esaurirci, il lavoro se non è marginale deve comunque avere dei margini ben definiti” mi ha detto Fabrizio (anche con gli uomini la musica non cambia!) e io a rispondere di quanto il mio lavoro sia parte integrante della mia vita tanto da non poter stabilirne i confini in modo netto.
Poi sbatto il naso contro le verità preannunciate e allora, ma solo allora, riesco a fermarmi e a guardare le cose da fuori, a osservarle come se non fosse la mia vita (è un bell’esercizio, provate!).
Da inizio anno non lavoro più di sera. Lo ammetto era diventata un’abitudine, quasi non me ne accorgevo e detto tra noi non mi pesava. E poi sono una freelance, e i freelance per definizione lavorano sempre! (sto rivedendo questo concetto, sappiatelo).
Ma non ho smesso per questo, ho smesso per dare spazio ad altro, alla lettura principalmente e quindi anche al riposo (una pacca sulla spalla per me grazie!).
Allo stesso modo ho ritrovato il piacere della mia ora sacra: la mattina, dalle 5:30 alle 06:30 io sono solo mia!
Esco e vado a correre o a camminare a seconda della circonferenza addominale.
POLVEROSE ABITUDINI
Sono le abitudini che fanno la differenza, nel bene e nel male.
Le abitudini costruiscono il nostro presente portando relax o stress, sollievo o ansia, piacere o fatica.
Molto più degli eventi straordinari è la routine che ci definisce e ci colora.
E anch’io, che fuggo la routine come quella benedetta gazzella fugge ogni giorno il leone (prima o poi romperemo gli zebedei anche a qualche altro animale vero??), anch’io dicevo sono piena di abitudini che a volte non riesco a vedere ma che costellano la mia giornata, i miei pensieri, le mie credenze, le profezie che si auto-avverano (crollerà il cielo) e il modo in cui affronto le giornate.
Smantellarle o anche solo modificarle è salutare anche quando si è convinti di essere nel giusto.
Gli automatismi ofuscano il senso, il perchè facciamo una cosa o la facciamo in quel modo.
Ho scoperto che rompendo gli schemi e cambiando ritmo si toglie la polvere accumulatasi sopra al significato delle nostre scelte, al senso, al motivo, al valore intrinseco di una decisione.
Non è difficile, bisogna solo imparare il distacco necessario a mettersi in discussione (e circondarsi di amici intelligenti!).
DETTO QUESTO…
Detto questo io a casa non ci resto!
Fisicamente lavorerei più che in ufficio, pulirei le finestre, le porte, ogni angolo di tutte le stanze, garantito al limone.
Quindi io la mattina esco, accompagno Ettore all’asilo e me ne vengo qui in ufficio dove vivo una sorta di vacanza forzata che sa di riposo nel momento in cui smetto di considerare il vuoto come assenza ma lo guardo come possibilità, come spazio da colorare, non necessariamente da riempire.
Ci ho pensato oggi, non è saggezza infusa ma solo il frutto di una riflessione che si è insinuata tra le pieghe del mio malcontento per dirmi che sì, forse posso vivere il prossimo mese e mezzo non solo senza paura, ne avevo parlato qui e l’avevo già lasciata andare, ma anche con leggerezza e senza quel malessere che nasce dal non saper cosa fare, dal vuoto.
Un vuoto con cui sto cercando di familiarizzare.
MI RIPOSO
A modo mio.
Leggendo, studiando, scrivendo, guardando dei video, immaginando cose, pianificando progetti futuri e accogliendo lo spazio che mi si sta aprendo intorno.
Che tra un mese e mezzo già lo so, rimpiangerò il vuoto, intenta a farmi spazio tra pannolini, vomitini, pianti, risvegli notturni, gelosie fraterne e tette enormi.
E comunque non escludo anche qualche passeggiata in Summano e una puntatina dalla parrucchiera tanto per essere in ordine all’arrivo dello tsunami 😉
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