Tra una settimana traslochiamo.
Sono 7 anni e mezzo che viviamo in affitto da Mariano.
Per quello che mi riguarda, il periodo più lungo nella stessa casa da quando ho lasciato il nido.
Sono al quinto cambio-casa.
E come ogni volta, una piccola rivoluzione.
A me cambiar casa piace.
Però comprar casa è un’altra cosa.
E sistemar casa (per quanto poco) un’altra ancora.
Avete idea di quanti modelli di water esistono? Sono seria: la scelta dei sanitari può esaurire ogni riserva di lucidità e pazienza, anche quella accantonata per i momenti di emergenza.
Epperò cambiar casa per me è sempre una bella avventura, mi piace fare gli scatoloni, mi piace riprendere in mano pezzi di vita, riguardare le foto, staccare i quadri, rovistare in fondo i cassetti e chiedermi cosa terrò e cosa no.
Sono diventata molto selettiva a riguardo.
Diciamo pure spietata.
Eppure ci sono cose, poche, che non abbandono da molto tempo.
Appartengono a due categorie:
- cose che mi porto dall’infanzia
- cose che vengono dal periodo in cui ho vissuto completamente da sola
Credo siano questi i momenti topici della mia vita: io bambina e io per la prima volta autonoma e indipendente, dopo una scelta di rottura che mai avrei pensato di riuscire a fare.
Da allora in poi sono pochi gli oggetti a cui mi sono legata, se si esclude la planetaria, ça va sans dire.
Da allora ho costruito molto e forse ho meno bisogno di agganciarmi alle cose…
In passato ero un’accumulatrice seriale, tenevo tutto, mi affezionavo a tutto e non buttavo niente.
Poi ho iniziato a celebrare il rito della selezione, una giornata all’anno: in quel giorno giravo come una matta per tutta la casa riempiendo sacchi dell’immondizia, con la foga di una che improvvisamente deve liberare metri quadri di spazio, in casa e nel cuore.
Poi ho letto Il magico potere del riordino, di cui ho parlato in questo post, e sono diventata una buttatrice seriale. Ora tengo pochissime cose.
Quello che tengo però ha un valore che va oltre lo spiegabile.
Non so voi cosa fate: accumulate o selezionale? E cosa tenete? E perché lo tenete?
Io ho capito che tengo esclusivamente emozioni e persone.
- tengo due serie di cartoline che mi ha regalato Andrea quando andai ad abitare da sola, da allora sono la prima cosa che appendo in casa per sentirla davvero la mia casa.
- tengo una forchetta che ha i rebbi sbilenchi, è la mia forchetta da quando avevo 12 anni (la rubai in una casa al mare, lo confesso… era troppo strana e mi piacque da morire).
- tengo il manifesto del Campanile di Val Montanaia con la dedica di Luciano dietro, lui mi fece innamorare di quel monumento della natura, e lui me lo fece scalare per primo.
- tengo i primi sci da scialpinismo che mi sono stati dati (grazie Antonio): pesavano un’assurdità ma mi fecero innamorare di questa attività.
- tengo uno specchio rotondo che trovai gettato via, ma era intero e mi sembrò un tale spreco che non resistetti e lo adottai.
- tengo le poesie che mi ha scritto Frensy (si firmava così, giuro), un tizio che chiedeva la carità a Monte Berico con cui scambiavo 4 parole ogni giorno, all’alba, quando abitavo e correvo a Vicenza.
- tengo la radiosveglia di mio nonno, in cucina, dove ci sono le cose che contano.
- tengo il macinapepe di mia nonna, stessa stanza per ovvie ragioni.
- tengo la foto di me che a 5 anni pettino mio papà, quella di mio nonno che mi lega le scarpe e quella di mia nonna sotto l’ombrellone.
No vabbè, sulle foto sono debole: le tengo tutte e moltissime mi commuovono.
Posso rinunciare a molti oggetti, posso anche rinunciare a ricordare alcune cose, altre non mi abbandoneranno nemmeno a suon di candeggina.
Però non toccatemi le foto.
Ne ho riguardate un po’ prima di sigillare le scatole con il cellopan e ho pensato che gli ultimi 12 anni della mia vita sono stati un condensato di esperienze, persone, cambiamenti, scelte ed emozioni.
Ho pensato che da bambina ero felice e che poi si è rotto qualcosa, da qualche parte.
Ho pensato che mi sono fatta una mazzo tanto per stare bene anche se ogni tanto mi sono ingannata su cosa fosse il bene.
Ho capito che ho tante risorse e altrettante paure.
Ho capito che ho corso tanto, e adesso ho voglia di riprendere in mano quelle foto, una alla volta.
Con calma.
Riguardare i volti, i paesaggi, i sorrisi.
Ritrovare quei pezzi di vita che sono passati così veloci perché io vado veloce.
Provare a risentirne il gusto.
Fermarmi e capire se posso recuperare qualcosa, unirlo al presente e continuare a guardare avanti.
Ho voglia di gite sociali del CAI e di rimettere gli sci.
Dopo il trasloco.
Se sopravvivo.
Sicuro!
Visto che ci siamo e che è tantissimo tempo che non ne posto una, oggi corredo il post di ricetta autunnale… e lo so che siamo quasi a fine stagione con i funghi ma abbiate pazienza, comprateli e provate questo gulash di pioppini (o finferli nella ricetta originale che trovate qui).
Gulash di pioppini con riso basmati
Ingredienti per 4 persone circa
1/2 cipolla
500 g di pioppini puliti
olio evo qb
1 peperone rosso
1 spicchio d’aglio
1 pizzico di maggiorana
paprika a piacere (io piccante)
vino bianco per sfumare
300 ml di panna liquida
sale e pepe qb
300 gr riso basmati
Come si fa…
- Tagliate la cipolla e soffriggerla insieme allo spicchio d’aglio (io intero così poi lo tolgo), unire i funghi puliti e tagliuzzati.
- Aggiungete il peperone a dadini, sale e pepe.
- Aggiungere un pizzico di maggiorana e la paprika in polvere e fate cuocere un paio di minuti. Sfumate con il vino bianco, aggiungete la panna liquida e portate a ebollizione.
- Lasciate cuocere a fuoco lento, serviranno una decina di minuti al massimo.
- Da parte cuocete il riso, lesso o per assorbimento, come preferite (io la seconda, usando 600 ml di acqua circa su 300 gr di riso).
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