Ebbene sì, ho un amico scrittore.
Intendo scrittore, scrittore.
Uno di quelli che lo pagano per scrivere libri.
Che pubblica romanzi, vince premi, prende l’aperitivo con Umberto Eco a Natale e presenta la Bignardi quando è in tour per promuovere i suoi scritti.
E con la stessa semplicità con cui organizza uno dei più partecipati festival letterari d’Italia (Una torre di libri a Torre Pellice) o intrattiene personaggi noti della letturatura internazionale, lui viene ad assaggiare il Durello in Casa Cecchin, cena con hamburger e sacher-torte a Castelfranco Veneto e si fa 300 km per condividere una bottiglia di Sassicaia (che porta lui stesso).
Oggi scrivo di lui, con quel misto di orgoglio e timore, tipici di quando inviti a cena uno chef e cucini tu, e ti prende l’ansia di non aver salato l’acqua della pasta (a me è successo quindi non ridete).
Questo maestro delle parole completamente fuori di testa si chiama Simone Sarasso, ed è lui… (in compagnia di Giulia e Silvia, due donne eccezionali che meriterebbero un post a parte).
Vive a Novara ragione per cui la prima volta che l’ho incontrato invece di complimentarmi per la sua produzione letteraria gli ho detto letteralmente:
“Novara? Ci sono i Camporelli a Novara, IO LI ADORO”
Il tono era sfacciatamente allusivo.
E lui, la seconda volta che ci siamo visti, me ne ha portata una confezione: i Camporelli, o biscotti di Novara, sono una sorta di grandi pavesini, ma molto, mooooooolto più buoni e sono tra i miei biscotti preferiti, in assoluto.
Simone scrive che ti rapisce: ha ritmo, gioca con le metafore e con le immagini trasformandole in sensazioni, mette in fila parole che si trasformano in storie.
Insomma, Simone mi ha conquistata a suon di paratassi e Camporelli.
E a Simone voglio bene, nonostante le scornate… o forse anche per quelle.
E tanto anche.
Non perchè scrittore (che è pur sempre un lavoro, di quelli che passi 8 ore in ufficio, da solo, a battere sui tasti, senza spiccicare parola tutto il giorno, per 5 giorni la settimana… io non lo so mica se ne sarei capace),
e nemmeno perchè è famoso (che quando fa un ordine su ebay a lui gli scrivono per avvisarlo che il pacco arriverà avvolto in piume d’oca norvegesi per non subire danni),
e neanche perchè mi porta il Sassicaia (fatto che comunque ha determinato una decisa impennata nell’affetto che provo per lui).
A Simone voglio bene perchè è Simone, anzi, per me è Sarasso.
Ed è… lui.
Un positivo pessimista, cinico sognatore, disilluso ed entusiasta amante della vita, agnostico che mi manda gli auguri di buona Pasqua.
Egocentrico come pochi (quasi come me), ossessivo (più di me), oggettivamente simpatico (nonostante quel che si dice dei piemontesi), amante del turpiloquio (ma solo scritto).
E fastidiosamente capace di entrare, in silenzio, nelle pieghe dell’animo umano… questione di un attimo e te lo ritrovi lì.
Simone poi è davvero un grande professionista, di quelli che hanno saputo trasformare la passione in lavoro e amano follemente ciò che fanno.
Mi ha insegnato che il tempo ha un costo e che non bisogna mai svenderlo(si) o svendere la propria competenza.
Regalare men che meno.
Ciononostante si fa km e km per presenziare gratuitamente a eventi per pura amicizia.
La gratuità è un valore: decidi tu quando, come e a chi farne dono.
E anche questo è un volto della professionalità.
Simone ha un cellulare che neanche più mia mamma lo terrebbe uno così vecchio (e infatti mia mamma mi scrive su WhatsApp mentre con Simone ho riscoperto l’esistenza degli sms… ebbene sì, ci sono ancora).
È preciso e decisamente puntuale (cosa per la quale lo stimo tantissimo), non se la tira neanche quando vince, ma non disdegna le lusinghe… è pur sempre un VIP, ca va sans dire.
Simone mi sta aiutando a scrivere meglio (in cambio io lo istruisco sui vini che si abbinano bene all’orata… ci sono lacune da colmare).
Mi educa all’uso delle parole a suon di bacchettate (la punteggiatura Zantedeschi…) e di consigli.
Uno su tutti: leggi fino a farti lacrimare gli occhi e scrivi fino a consumarti le dita.
Sempre, ogni giorno.
Senza tregua.
Perchè se vuoi fare bene una cosa, al talento devi unire l’impegno, un pizzico di ossessione e tanta, tanta e ancora tanta disciplina.
E questo vale per la scrittura, per la cucina, per il lavoro, per il giardinaggio (che non mi riguarda), per lo sport…
Simone mi ha insegnato a tagliare più che ad aggiungere.
A rileggere prima di premere invio.
A far volare le parole sulle immagini per dare forza e dolcezza ai concetti, per trasformarli in sensazioni.
Simone scrive noir e romanzi storici.
In entrambi i casi narra storie di uomini, di potere e di battaglie.
“Io scrivo sempre del cuore oscuro del potere, sono ossessionato dalle devianze del comando.
Io scrivo sempre di figli soli, di genitori separati, sono ossessionato dall’abbandono. Dalla merda che piove dal cielo e ti obbliga a cavartela da solo.
Io scrivo sempre di morti ammazzati, di morti male, di morti ingiuste. Perchè davvero non so darmi pace.”
Simone ieri ha pubblicato il suo decimo libro, lo trovate nelle librerie, edito Rizzoli:
Aeneas – la nascita di un eroe.
“L’ho scritto con le dita che andavano a fuoco, immaginando bronzo e sangue, sudore, rabbia, sesso, potere.”
E io, che scrivo di cibo, ma non solo cibo, che racconto di emozioni e di persone, e provo a cimentarmi con le parole scritte (non certo bene come sa fare lui) per trasmettere ciò che mi affascina, non potevo non dedicargli queste poche righe e fare un po’ di sano spam.
Quello spudorato, poco obiettivo e gratuito che faccio solo per le cose e le persone in cui credo fermamente.
E quindi oggi niente ricetta ma un invito alla lettura.
Storia epica, un passato lontano che sa di mito.
Un viaggio appassionante.
Un uomo che ama, un uomo che deve esiliare, un eroe.
AENEAS.
Di Simone Sarasso.
Il mio amico Simone Sarasso.
[e mi aspetto quantomeno dose doppia di Camporelli] 😉
Vi lascio pure un assaggio: un breve incipit, il resto lo trovate tra le pagine…
Legno e sale.
E acqua limpida di specchi infranti.
Ilio brucia dietro le spalle, nessuno si volta a guardare.
Lacrime roventi e cuori gravidi per tutti.
Partiamo.
Non c’è altro da fare.
Abete piallato di fresco e pece nuova sotto le piante dei piedi, vele cerchiate di speranza e sole alto.
Della casa d’un tempo resta il fumo: riempie gola e narici, c’accompagnerà per sempre.
Esuli scalzi, animi rotti, vecchi, donne e bambini.
Partiamo.
Sconfitti, ingannati, spalle fredde sotto gli occhi di dèi annoiati.
Partiamo.
I ricci di mio figlio, le rughe del padre curvo, le bocche spalancate di chi mi chiama “principe”.
Mentre il regno che non ho mai retto arde ancora.
Il mio nome è Aeneas e questo è l’ultimo giorno di Ilio.
Levare gli ormeggi è morire due volte.
Il futuro odora di vento e paura.
Partiamo..
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