Eccomi qua, ci sono ancora.
Shackerata da un 2017 tosto e avvolgente.
Warning: questo è un post che parla di come si evolve e si cresce anche alle porte dei 40’anni, che non è solo questione di cambiare, è qualcosa di più: è il coraggio di aggiungere tessere diverse e colori nuovi a un mosaico già iniziato, anche se è faticoso.
Vi spoilero anche che la parte più bella del post è quella in fondo, se pensate di non reggere tutto saltate direttamente giù, capirete meno ma vi giungerà comunque un messaggio bello e forte: è ciò che vi auguro per il 2018.
Se invece avete pazienza -tanto siete in ferie, no?- vi racconto cosa mi sta succedendo e cosa probabilmente succede a molte persone, prima o poi.
E non è colpa degli anta in arrivo. 😉
UN PO’ DI BLU IN ME
Ho rifatto il mio profilo Insights Discovery; dice che sono ancora la stessa: Gialla-Rossa, veloce, dinamica, irruente, esagerata, espansiva, sempre preoccupata di fare-fare-fare.
Però ha registrato anche un nuovissimo investimento sull’energia Blu, quella della precisione e del rigore, per intenderci. Quella introversa e razionale che mette in ordine le cose e si pone standard alti.
C’è un investimento, non significa che io sia Blu.
C’è un cambiamento in atto, movimento in profondità.
DEFINIZIONI A META’
Da un po’ mi muovo senza pace dentro definizioni troppo larghe e troppo strette:
sono una mamma,
sono una compagna,
sono una partita iva.
Sono quella che provoca su linkedin,
quella che impasta brioche,
quella che scrive,
quella che va in montagna,
quella che corre all’alba,
quella che sistema CV,
quella che passa le vacanze in westfalia,
quella che organizza cene,
quella che non si stanca mai,
quella che ride volentieri.
Tessere sparpagliate in attesa di diventare un mosaico.
Tessere monocromatiche, selezionate con quell’assolutismo, tipico mio, che sembra non lasciare mai spazio ad altro: mare? no, grazie. A pranzo la domenica? no, grazie. Un preparato per fare il dolce? no, grazie.
Perché io sono così: rigidamente flessibile, allegramente triste, decisamente insicura, amabilmente snob.
Esagerata e contraddittoria.
Esigente solo se mi interessa.
Guardarsi con gli occhi degli altri, ascoltare davvero, abbassare il volume dell’ego, fidarsi, lasciarsi avvolgere e far cadere l’armatura.
Esporsi.
Sentire freddo.
Sentire davvero.
E accogliere i cunei che s’infilano nelle crepe delle (in)certezze.
Lasciarsi rigare la carrozzeria, come dice qualcuno.
Io devo ringraziare questo 2017 per avermi portato in dono i cunei, nuovi strisci sulla carrozzeria (e non sono le smagliature) e il coraggio di non scappare.
Lo ringrazio e lo mando anche un po’ affanculo, perché mi sto facendo un culo a capanna per tirar fuori tutto quello che avevo accuratamente nascosto in cassetti piangenti, abbandonati qua e là.
Epperò sono andata al mare a Natale.
Per dire.
TACCHI ALTI, ACULEI E PIATTI PRONTI
Insomma, arrivo alla fine di un anno bello e difficile come pochi, con tanti buoni propositi che non vedranno mai sorgere il sole e con un paio di obiettivi che non voglio mancare.
Ma soprattutto ci arrivo con nuove tessere appiccicate addosso, sfumature diverse, righi sulla carrozzeria e anche qualche aculeo luccicoso.
Sempre quella di cui sopra quindi, ma anche:
quella che compra il purè in busta,
quella che desidera comodità e una vacanza in albergo,
quella che (finalmente) dice, e litiga,
quella che si prende il sushi da asporto,
quella che si stanca,
quella che si lamenta,
quella che non sa bene cosa diventerà da grande ma che sta facendo pace con una bambina un po’ maschiaccio, cresciuta convinta di non essere mai abbastanza,
quella che sorridendo, cammina con i tacchi alti sulla neve di Torino.
Vi auguro un anno speciale.
Di quelli che lasciano a bocca aperta, di quelli che un po’ graffiano la carrozzeria e un po’ avvolgono come una coperta calda.
Vi serviranno un po’ di coraggio e molta concretezza, per trasformare la consapevolezza in vita quotidiana.
Vi farete un culo a capanna, ma ne sarà valsa la pena. Qualsiasi sia il vostro pezzetto di “io” da tirar fuori per continuare il mosaico.
FATEVI RIGARE LA PORTIERA DELLA VITA
Chiudo prendendo a prestito parole dense, inanellate meglio di come saprei fare io. Le ho sentite incollarmici dentro perfette, come quando infili delle scarpe e capisci che sono proprio le tue, come quel reggiseno che sostiene senza toglierti il respiro (a me basta che non risuoni di vuoto e siamo a posto), insomma, avete capito. Le condivido perché potrebbero incollarsi bene anche a voi:
Rigami la portiera della vita.
Ti prego, per favore.
Rigami, graffiami, rovinami la portiera con un chiodo.
Ho bisogno che qualcuno tiri uno striscio profondo sulla profondità delle mie certezze, stritolando la placida tranquillità che nella perfezione immutabile della carrozzeria tirata a lucido stia poi il senso di tutto questo vivere.
Che poi alla fine quanto mi costerà?
Non più di una settimana di vacanza di gruppo, di una notte di abbracci finti o di una bottiglia di un buon Amarone.
Ti prego, spaccami il cuore in due e appendilo al gancio della mia sicumera, che capisca così, che di mio, ma proprio di mio, non c’è nulla che non stia dentro ai confini della pelle o nel recinto dell’anima.
Ti prego, arriva qui, con il tuo carico di schiaffi, di ginocchiate sul fegato. Lasciami senza fiato sul ciglio dell’asfalto. Tra la ghiaia appuntita e abrasiva della pigrizia e le calorie grasse dell’abitudine.
Non trovo mai risposte nella perfezione della continuità. Nella quiete dell’assuefazione trovo sempre i semi del dovere abbassare la testa e mai quelli di alzare la guardia.
Cerco guai per non morire, cerco guai perché c’è di peggio che morire.
Lo vedo dalle tante facce spente e contente per finta e per una sorta di botox morale, che respirano solo per potere rimanere ancora un giorno a sperare che qualcosa le liberi senza chiedere.
Senza rigare la loro portiera.
Questo è peggio di morire. E nulla, nulla al mondo le libererà con questa modalità.
Nulla potrà renderle libere senza schiaffeggiarle prima. Vale per loro, vale per me, vale per te.
Nulla e niente verrà ad aprirti la cella senza conficcarti un piolo nel cuore, fino a romperlo in tanti pezzi quante erano le tue verità.
Per poi lasciarti il compito di ricomporlo, da donna o uomo libero.
E sai una cosa?
Ricomincerà, prima o poi.
Qualcosa o qualcuno, ripasserà il chiodo del destino sulla tua carrozzeria appena lucidata e tirata a nuovo.
E tu sarai addolorata certo, ma meno disperata.
Perché a ogni frego sulla vernice brillante saprai rispondere con un arabesco mille volte migliore.
È questo che chiedo.
Un sfregio a cui rispondere.
È questo che ti chiedo.
Un colpo d’ala rabbioso.
È questo che ci chiede questa vita per darle senso e profondità e momenti di felicità .
Il resto è peggio che morire”.Sebastiano Zanolli
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