“Tu Roberta sei anche mamma, vero?”
“Sì, ho due bambini, uno di 3 e uno di 6 anni e mezzo.”“E come concili il tuo lavoro da libera professionista con la maternità?”
“Con i nonni e la baby sitter, mi permettono di lavorare a tempo pieno e di fare la mamma part time.”“E non hai mai pensato di conciliare meglio la tua vita di mamma con quella di professionista?”
“Il mio work life balance è perfetto: io non potrei mai stare a casa! MAI. Non starò mai a casa…”
Mai, salvo l’arrivo di una pandemia!
E chi se la sarebbe aspettata?
Lo so che siamo tutti concentrati a commentare lo smart working, a cercare di interpretare i decreti del Coronavirus e a stampare la nuova release del modulo di autocertificazione, ma vogliamo parlare di quelle madri che il lunedì mattina erano entusiaste di mettere piede in ufficio?
Vogliamo parlare di chi improvvisamente si trova proiettata in un ruolo per il quale mancano sia le hard che le soft skill?
Vogliamo parlare di chi vive il dissidio drammatico del “accendo la televisione così lavoro o vado a saltare sul tappeto salterino e mi alzo mezz’ora prima domattina?”
E non ditemi che sono l’unica in questa situazione.
Ora, chiariamo un punto: non mi sto lamentando! Siamo in salute (e questo è ciò che conta), abbiamo un giardino e la scorta di vino ci permette di affrontare anche i momenti più bui.
E non ho voglio prendermi gioco di un momento drammatico ma ridere di me stessa, che siamo alla fine della seconda settimana di #iorestoacasa e il mio motto pre-coronavirus, era #iovadoinufficioanchesepotreilavoraredacasa.
Quindi ho pensato di raccontare come ce la passiamo qui, con il papà che lavora ogni giorno tutto il giorno e due maschietti scatenati. In fondo so che qualcuna potrebbe rispecchiarsi e sentirsi meno sola in questo momento in cui i vari ruoli personali entrano continuamente in conflitto e fanno a gara per generare il maggior numero possibile di sensi di colpa.
Eh sì, perché c’è la professionista che non perde un’occasione per ribadire quello che non hai ancora fatto
“guarda che c’è Tizio che aspetta una risposta da due giorni, e ti ricordo che hai un paio di fatture da fare; e le candidature di quella selezione, quando pensi di leggerle? ti ricordi vero che hai un progetto di scrittura su cui non stai lavorando, o vuoi che te lo ricordi io?!”.
La madre è ancora più perfida e ti fa sentire una smidollata per quelle concessioni che fai pur di respirare o di lavorare
“brava, gli fai guardare ancora la TV, mi congratulo per tanta lungimiranza. Chi è la Montessori in confronto a te, chi è? no ma dico, è così che li cresci? è così che gli insegni il valore del lavoro? parcheggiandoli davanti a Baby Boss perché imparino cos’è un CEO? Ma veramente io dico, che poi vai in giro a pontificare sulla comunicazione non ostile e la sera tiri 4 urla che ti sentono fino in centro a Zugliano, quanta coerenza Roberta”
La sportiva che vive in te è diventata un generale militare:
“non starai ancora mangiando vero? ma non mi posso distrarre due minuti che ti trovo a sboconcellare qualcosa? e quanti esercizi hai fatto oggi? come siamo messi a squat e a crunch? ti ritroverai un budino se vai avanti così, tira fuori quel tappetino e dacci dentro”
La donna che c’è in te emerge più timida ma mica tace:
“Roberta, lo so che sei incasinata però ricordati che se mediti almeno 10 minuti al giorno, poi stai meglio. E respira, Roberta, respira… lo sai che poi reagisci con più lucidità. Dai forza, in fondo cosa sono 10 minuti al giorno? 10 minuti tutti per te senza un minorenne o uno schermo davanti, puoi farcela dai, io credo in te, tu vai bene così come sei, tutto va bene così com’è ma adesso medita cazzo, che sennò mi arrivi a sera sclerata!”
Questa è un po’ la situazione, ma ora vediamola nei dettagli.
I BAMBINI E L’EGOISMO
Se c’è una grande verità è quella che – lo confermerà qualsiasi psicologo dell’età evolutiva – i bambini sono egoisti per natura, non per capriccio.
Se poi ci aggiungi anche i capricci la strada verso l’esaurimento nervoso è spianata.
La settimana 1 tutto sommato non è andata male: per la prima volta eravamo insieme ogni giorno senza interruzione di continuità, fuori splendeva il sole, si lavorava dal giardino vestiti leggeri, le video call avevano come sfondo il tappeto salterino dei pargoli, si mangiava all’aperto, si giocava tra una mail e l’altra e si chiaccherava con la vicina. Se non fosse stato che incalzavano comunque le scadenze e il carico di lavoro avrebbe imposto più tempo tutto sommato non era male.
Sì, l’abuso di TV è iniziato presto ma alle riunioni si alternava puntuale l’allenamento di pallavolo di Ettore mentre Giona scorazzava nel ruolo di raccattapalle.
Quando dovevo scrivere loro schizzavano come proiettili dentro il tappeto elastico e all’occorrenza la mia giovane vicina, con un evidente – e inspiegabile dal mio punto di vista – debole per i bambini, li intratteneva dal di là della rete che separa il nostro dal suo giardino.
Non voglio dire che ce la godevamo, ho iniziato presto ad alzarmi all’alba per lavorare indisturbata un paio d’ore di fila e la sera un briciolo di nervosismo faceva capolino, ma ripeto, lamentarsi sarebbe stato meschino e irrispettoso.
Il problema è che i bambini hanno una capacità di assuefazione più rapida di Beep Beep. E le madri si ritrovano spesso a fare la fine di Willy il Coyote nel cercare di agguantare la loro soddisfazione e magari un briciolo di gratitudine. E invece no… precipitano inesorabilmente e inevitabilmente nel burrone del “ancora mamma, ancora”.
Non è mai abbastanza e ogni concessione scatena il desiderio di qualcosa in più (ma funzionano così anche i vostri?)
Perché qui la dinamica è più o meno questa: loro ti chiamano perché anche tu entri nel tappeto salternino.
Rifiuti per un paio di giorni e resti agganciata al pc, “che giochino da soli per un po’, non può che fargli bene” ti sussurra la professionista.
Poi un giorno la madre approfitta di un momento di debolezza e insinua il pensiero “ma in fondo, quando ti ricapita più?” e tu, spinta da un’impeto di amore e dal desiderio di impersonare l’immagine patinata di una mamma delle pubblicità, fai l’errore di entrare e saltare con loro.
Non sai questo tuo comportamento li spara nell’iperuranio della gioia e tu improvvisamente sei inculata.
Certo, perché da quel preciso momento non potrai più rifiutarti di entrare nel tappeto: funzionano così loro, se capiscono che una cosa è possibile non c’è più verso di dire di no.
Se si può allora si deve.
Con relativo sbarramento dell’uscita quando chiedi di scendere 10 minuti “poi torno ehh, 10 minuti che mando una mail…”: non esiste, sei dentro e dentro rimani. E salta mamma, forte.
Se anche li convinci minacciandoli di non accendere la TV fino al giorno dopo, passerai i 10 minuti di libertà conquistata con un sottofondo che spotify gli fa un baffo “mamma guarda questo salto” “mamma hai visto la capriola?” “mamma, mamma, questo lo devi proprio vedere” “mamma entri? dai mamma entra” “mamma? Giona vuole che tu entri di nuovo, io glie lo dico che deve aspettare ma lui ti vuole” “mamma cosa stai scrivendo?” “mamma quante righe hai scritto?” “mamma adesso sono passati 10 minuti, quanto hai ancora da scrivere?” e tu provi a resistere a tutto, assertiva e inchiodata da 7 minuti sulla prima parola… fino a quando “mamma… mamma… MAAAAAMMA pipì” E a quel punto non c’è niente da fare: lo porti in bagno facendogli fare meno strada di quella concessa ai cani e rientri nel tappeto.
Adesso e per i prossimi giorni in cui ti azzarderai a uscire in giardino.
Essere una madre professionista che aderisce al #iorestoacasa significa anche saper fare delle scelte: decision making si dice in gergo professionale.
Come quando dopo 10 minuti dall’avvio di una video call che durerà due ore con un importante cliente, il pisciatore di cui sopra, ti avvisa che ha fatto la cacca (nelle mutande, perché ancora non c’è verso di usare il water per quella) e tu ti trovi a dover scegliere tra l’arrossamento delle sue chiappe e l’interruzione della video call. Un rapido calcolo della quantità di pasta fissan presente in casa e la scelta è presto fatta: un’ora e 50 minuti dopo quel culo santo sarà bello spalmato di crema, che la riunione proceda.
La cosa che mi fa più ridere (per non piangere) è la lucidità di Ettore che il venerdì ti guarda e ti dice:
“mamma, che giorno è domani?”
“sabato amore”
“bello, di sabato non lavori!”
” a dire il vero ho fissato dei colloqui perché posso contare sul papà che resta con voi!”
“noooooo, non è giusto, il sabato e la domenica non lavori, è il nostro patto”
E inizia una sfilza di lamentele che la muraglia cinese è ancora troppo corta!
Sempre di Ettore è la ricerca di una strategia diversa ogni sera per addormentarsi nel lettone:
le primissime settimane, quando passavano anche qualche giorno consecutivo dai nonni era la nostalgia accumulata
“mamma per favore, ci sei tanto mancata, facci dormire con te”.
Poi la paura del coronavirus
“mamma io non voglio che tu ti ammali e che muori, io sono un bambino e non muoro ma tu sei vecchia, potresti ammalarti, fammi dormire con te!”
E infine, quando provi a ripristinare le buone abitudini che li vedono coricarsi nel loro letto, scatta il ricatto più ricattoso (e anche stronzo, diciamolo):
“ma mamma, tu lavori tutto il giorno, almeno la notte stammi vicina!”
E tu pensi a tutto quello che non hai fatto, ai CV che hai da leggere, alle cose che ti restano da scrivere, alle mail in attesa di risposta, alle note vocali sacrificate per saltare sul tappeto salterino e giocare a Mila e Shiro, per fargli fare in compiti e intrattenerli con la pasta di sale.
Fanculo anche allo smart working, rivoglio l’ufficio e colleghi maggiorenni!
IL TEMPO PER ME, LA SOCIALITA’ E GLI ALONI
Eppure c’è un momento della giornata tutto per me, è quando mi trasformo in Jane Fonda, senza scaldamuscoli, con un tappetino ai piedi, youtube acceso e abbondanza di calorie da bruciare.
Cerco di concedermi dai 30 ai 60 minuti di ginnastica a corpo libero al giorno… cerco, senza certezza di trovare, sia chiaro e con grande frustrazione della me-sportiva.
E a parte il fastidio di avere davanti una tizia super tonica che fa plank con la stessa dimestichezza con cui io al limite impasto il pane, mi ritrovo Giona a fianco che mi chiama ogni volta nota che non faccio le flessioni “mamma no, mamma no così…” e allora sono costretta ad ammetterlo “sì, ho capito tesoro mio santo, ma io le flessioni NON LE SO FAAARE”. Echeccazzo.
E che dire dei convenevoli al telefono, di quando fai un po’ di conversazione sulla pandemia e ti informi su come sta l’altro:
“E lì come va? state tutti bene? la situazione com’è?”
“Qui fortunatamente stiamo tutti bene, è un po’ difficile gestire il lavoro, sai com’è, da casa non è semplice ma ci adattiamo.”
“E certo, non c’è alternativa, per fortuna la tecnologia ci assiste”
“Ma sì, dai, il problema è che non sappiamo quando finirà però bisogna essere positivi e trarre il meglio da questa situazione: ad esempio io finalmente riesco a studiare e non ti dico i libri che sto leggendo, sacrifico lo sport e mi manca la socializzazione ma almeno imparo cose nuove. Ma che te lo dico a fare Roberta, che io e te siamo nella stessa situazione.”
“Scusa, hai figli”?
“no!” o peggio “sì uno, durante il giorno sta con la mamma che è a casa anche lei!”
“e allora no, caro mio, non siamo nella stessa condizione, e se vuoi socializzare ti mando due bambini che, te lo assicuro, ti faranno rimpiangere l’isolamento. E adesso parliamo di lavoro che il mio tempo sta per scadere!”
A tutto questo aggiungiamo:
- le 2 ore per registrare 6 minuti di video invocando la provvidenza e calcolando la congiuntura astrale migliore per non essere interrotta, buona la prima senza voci di sottofondo e via.
- le incursioni di uno e dell’altro nelle video call che strappano una quantità infinita di apprezzamenti “ma quanto sono carini…” Carini? ve lo dò io il carini, sono due maschi, fisici, vivaci e con la mammite! Le femmine sono carine, quelle che fanno i disegni e sfogliano i libri, in silenzio.
- il gioco del “trucchiamo la mamma”: che se fossero femmine tenterebbero di rendermi una principessa ma sono maschi e mi trasformano in Dracula con il rossetto che diventa sangue e la matita nera che disegna i denti… e latte detergente che scorre a fiumi!
E poi vogliamo parlare della quantità sconsiderata di impronte e manate lasciate ovunque? dai vetri ai mobili della cucina!
Che poi, a dirla tutta, quegli aloni lì mica li vedevo quando partivo alle 07:20 e rientravo alle 19:30: secondo me non c’erano, e adesso basta un cazzo di raggio di sole di traverso e ti accorgi di avere la cucina tappezzata di impronte digitali.
ORA MI FACCIO SERIA
Insomma, alla fine di due settimane in cui la sveglia è puntata alle 4:45 per essere attiva alle 5:00 posso dire che resistiamo.
Trovo difficile conciliare le esigenze con le aspettative e i sensi di colpa.
Non è facile sentirsi all’altezza di una situazione imposta, dove sei improvvisamente impegnata in ciò che hai sempre amorevolmente delegato. Dove vengono meno i principi di libertà e autonomia su cui hai impostato gli ultimi 25 anni della tua vita.
E improvvisamente ti rendi conto della fortuna che hai e di quanto sia tutto più prezioso e anche più vulnerabile.
Se solo venisse meno l’esigenza, molto femminile, di voler incastrare tutto come se niente fosse cambiato, mettendo in discussione le aspettative e lasciando andare qualcosa, sono convinta che ne usciremmo meno frustrate e meno nervose.
Io non ci riesco ma la voce della me-donna me lo ricorda.
Che la consapevolezza è il primo passo.
Il secondo ha a che fare con un cavatappi e un bicchiere, ma questo è un altro discorso.
Buona permanenza domestica a tutti, questo è solo un post leggero che mi farà ridere ancora di più tra molti anni, quando ricorderò di come una pandemia mi ha costretto a fare la mamma.
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