I miei son 42, Ratatouille ne fa 8 e insieme ne abbiamo passate parecchie.
Se penso solo a 8 anni fa mi pare una vita, un tempo e almeno un paio di Roberta fa.
Non so se la vita inizi a 40’anni, so però che io sono sempre più impegnata a goderne ogni attimo e gli attimi sono fatti di persone in primis e di scelte subito dopo.
Se ai 40 sono arrivata arrancando e i 41 sono passati senza infamia ne lode, questi 42 me li sento bene addosso: non stringono, non tirano, non pizzicano. Sembrano fatti apposta per me, quasi li stessi aspettando.
E io, che amo l’attesa ma odio aspettare sono felice di dar loro il benvenuto.
Persone, scelte e leggerezza
Persone e scelte sono due gli ingredienti di uno stare che, se non vogliamo tirare in ballo la felicità, quantomeno con la gioia ha bene a che fare.
E io, che per quanto riguarda le persone sono sempre stata baciata dalla fortuna o da un destino benevolo anche quando mi sembrava beffardo, sulle scelte sto imparando ora a muovere i primi passi consapevoli.
Non che non abbia mai preso decisioni importanti, ma le scelte vere sono quelle di un quotidiano che, senza accorgertene, costruisci la tua vita.
E allora entra in campo la LEGGEREZZA, la mia parola magica di questo 2020 iniziato strano e come procederà non è scritto tra le stelle.
Se ci penso c’ho sempre provato, a essere leggera, talvolta anche con modalità non proprio edificanti (per non dire insane). Ma mai come adesso ho capito cosa significa lasciar andare (e conto di aver ancora strada da fare).
Io che prendo tutto sul serio e peso ogni cosa (a parte le mandorle nei cantucci), io che l’ironia è quella che decido io, che non tollero i ritardi, gli errori, la stupidità, le macchie sul pavimento, gli aloni sul piano della cucina, il letto sfatto, i cassetti aperti, una mail scritta male, un commento idiota ai miei post, i video quotidiani su LinkedIn, le foto profilo sbagliate, le restrizioni, le visite mediche, lo spreco di qualsiasi cosa…
Io brava a pianificare, organizzare, gestire, rispettare le scadenze, controllare…
La leggerezza, più che una facile risata o la battuta pronta, è la conquista di saper accettare le cose per come sono e non per come le vorrei, non con rassegnazione ma con la gioia di ciucciare tutto quello che posso ciucciare.
È leccare la ciotola dal residuo di impasto della cheesecake, raccogliere la nutella con un dito, aspettare a rispondere a una mail (anche quando è un cliente), usare uno zaino senza tanti scomparti, non cercare definizioni, disubbidire, dire di no a quello che si diceva sempre sì e sì a quei no che partono automatici più per abitudine che per convinzione, far aspettare qualcuno, fare a meno di qualche risposta, fare a meno di qualche parola, chiaccherare con il cameriere del McCafè dove mi sono rifugiata che mi chiede cosa sto scrivendo…
È la capacità di godere di tutto, a prescindere.
E nulla toglie alla serietà, alle ambizioni, agli impegni o ai legami perché la leggerezza è parente stretta del rispetto altrui, quel rispetto che, lo spiega bene Annamaria Testa, è riconoscimento che parte dal guardare, dall’accorgersi dell’altro.
Compassione e con-passione
Sto adottando la compassione in primis su di me, seguendo e facendo mie le riflessioni di Nicoletta Cinotti, che l’ambivalenza c’è sempre e con compassione si sceglie accettando e accogliendo ciò che è.
Compassione ma sempre con-passione, a 42 anni la saggezza (ma forse è più che altro l’invecchiare) non ha rosicchiato spazio all’entusiasmo che mi spinge, non posso farne a meno, sempre un po’ altrove. Che mi porta fin dentro alle cose perché con difficoltà riesco a mantenere un distacco che, lo so, a volte aiuta, ma non fa per me.
Scegliere perché niente è peggiore di pensare o sentire che non è la tua vita.
E non c’è altruismo che tenga, niente è più importante di essere le proprie scelte, qualsiasi esse siano, e cambiare idea quando serve, che la coerenza non è rigidità e l’unica scelta davvero sbagliata è quella subita.
Di cosa posso fare a meno?
Aspettative e sensi di colpa sono macigni che impediscono quel batter d’ali utile ad alzarsi in volo.
Ti si appoggiano uno per spalla e si dan manforte per tenerti a terra: professionista, madre, compagna di buon senso, responsabile, affidabile e realista, questa è la lunsinga che ti sussurrano all’orecchio dimenticandosi (e facendoti scordare) che prima di tutto (e di tutti) tu sei donna e hai un mondo interiore che supera i confini di qualsiasi altro ruolo.
Aspettative e sensi di colpa sono di un’invadenza appiccicosa e non c’è sapone che tenga, l’unica soluzione è lasciare che ci si attacchi sopra strati di vita fino a che perdano il loro potere colloso.
In questo senso sì, i 42 anni vincono sui 30 perché di strati io ne ho messi un bel po’ e adesso mi permetto di guardare oltre e di alzarmi un po’ in volo: non sarà una vita in mongolfiera (non ancora) ma i passi sono più leggeri e i balzi assomigliano a quelli degli astronauti sul terreno lunare.
Sono 42 e sono 8
Si consolidano l’amore per la scrittura,
la passione per il lavoro indipendente,
l’incapacità di non fare scelte un po’ folli,
il bisogno di stringere i popi quando dormono e di correre all’alba,
la ricerca di una vita mindfull,
la passione per la cucina etnica e piccante, per le patatine all’aperitivo e per le bollicine pas dosé.
Nasce una disponibilità nuova verso tutto il resto, con i limiti suggeriti dal mio benessere e uno sguardo leggero e sconfinato verso ciò che sarà. Auguri a me. Vado alle terme.
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