Disclaimer: in questo post potrebbe sembrare che io mi contraddica rispetto a ciò che ho scritto la volta precedente, qui, ma non è vero. Fa parte dello stesso film.
È che la scorsa settimana mi è venuta la depressione post parto e ho passato due giorni a piangere perché i miei ormoni hanno deciso di fare ponte anticipato e quindi mi è uscito questo post, che è vero tanto quanto l’altro.
Perchè la maternità è così: è tutto e il contrario di tutto.
Fine del disclaimer
A volte li vorresti dare indietro.
I figli dico.
E non è più un segreto, è da mo’ che le mamme non solo lo dicono ma lo scrivono, lo cantano, lo sbandierano, lo twittano, lo pubblicano, e insomma ci tengono proprio a sottoscrivere questa cosa.
Questa cosa è che a volte cerchi il certificato di nascita dei tuoi figli per vedere se da qualche parte, in piccolo, ci sono le istruzioni per renderli indietro, ben impacchettati, accettando senza problemi le spese di spedizione e sperando solo di essere ancora in tempo.
Succede, eccome se succede, pure se li hai fatti carucci succede.
Tu li ami, li ami tanto, anche di più.
E non è vero che una doccia come si deve diventerà un traguardo da festeggiare con una bottiglia di Franciacorta,
che la tua vita privata assumerà la rilevanza di una caccola del naso,
che resterai segregata in casa con addosso una tuta ricamata di vomitini per i primi 3 mesi di vita del pargolo,
che puzzerai di caciotta andata a male fino ai 6 mesi,
che la tua vita sociale si ridurrà ai gruppi di mamme sclerate di facciadilibro,
che userai tutto il tempo in cui lui dorme per rassettare e fare lavatrici,
che le tue unghie non vedranno lo smalto per almeno 3 anni,
che ritornerai nei jeans pre-gravidanza quando lui prenderà la patente,
che diventerai vittima senza volerlo del celodurismo da mamma,
che sulle gambe ti ritroverai una piantagione di peli da far concorrenza alle coltivazioni di bambù,
che 4 ore di sonno filato meriteranno un’intera cassa di Champagne,
che la prima volta che andrai a fare la spesa da sola ti sentirai come un prigioniero liberato ma con la sindrome di Stoccolma,
che dovrai imparare a usare forchetta e coltello con una sola mano contemporaneamente e ad alternarle a seconda della tetta sulla quale sarà attaccato il pargolo…
Davvero, credetemi… non succedono necessariamente tutte queste cose.
O quantomeno non tutte insieme, qualcuna sì e qualcuna no, a volte nessuna (ma dovete avere tanto, tanto culo! oppure evitare di fare figli).
Insomma un po’ di sballottamento c’è, una specie di centrifuga, magari non a 1000 giri, ma i 500 non ve li leva nessuno, soprattutto se i figli sono più di uno.
Perché poi succede che ci sono momenti che si accumulano a momenti che si sommano a momenti che si uniscono a momenti, che si moltiplicano a momenti che ti fanno arrivare a quel momento topico in cui vorresti davvero tornare indietro e dire:
“Scusate del disturbo ma no grazie, io vorrei dare le dimissioni dal ruolo di mamma!
Mi faccio assumere come zia, non farò carriera ma vabbè, non sono mai stata ambiziosa!
Anzi, sapete cosa faccio? adesso entro nel portale dell’INPS e mi dimetto. Trattenetevi pure il preavviso e il TFR, tenetevi tutto, possibilmente anche le smagliature e le tette a forma di prugna secca, liberatemi e ridatemi la mia vita e quella pancia quasi-semi-tonica che avevo 4 anni fa.”
Ehhh sì, succede che la tua anima pre-maternità prenda il sopravvento su quella post-maternità e ti ricordi con precisione chirurgica e senza anestesia come si stava meglio quando si stava meglio.
E capita a tutte le mamme, ogni mamma ha i suoi di momenti.
Per me è quando il figlio di 3 mesi decide di avere lo scatto di crescita nel tragitto Alleghe-Zugliano e il viaggio diventa un’agonia di 4 ore,
quando il primogenito frigna da mattina a sera, e quando dico da mattina a sera intendo a ciclo continuo dalle 7 alle 21:30 che manco con le Duracell-mega-extra-super non potrebbe durare di più,
è quando il suddetto primogenito tira su una rogna da campionato mondiale di capricci perché si è sciolto nel latte QUEL pezzetto di biscotto che lui voleva raccogliere col cucchiaio e non ne vuole un altro, lui vuole proprio quello, quello lì, quello che si è sciolto…
è quando l’altro svomita a getto sull’unica maglia pulita e stirata che avevi in armadio,
è quando la serie dei perché raggiunge la lunghezza della muraglia cinese e ancora non sei arrivata in fondo,
è quando ti guarda e fa esattamente quello che gli hai appena detto di non fare, e lo rifà, e ancora e ancora,
è quando ti guarda e pur avendo appena mangiato, ruttato, cagato e fatto il bidè, ancora piange,
è quando, dopo una lotta estenuante per metterlo a letto, a luglio lui ti chiede la borsa dell’acqua calda sui piedi perché ogni motivo è buono per tirarla lunga,
è quando lo riaccompagni a letto per 79 volte perché lui quella sera non ha sonno e chiuderlo a chiave in camera legato al letto non rientra in nessun manuale del buon genitore,
è quando si sveglia esattamente nell’istante in cui tu stavi per entrare in punta dei piedi nella fase rem, che manco più i sogni ti lascia un figlio,
è quando si scagazza fino alle scapole, dentro al discount, dove il bagno non c’è manco per i dipendenti,
è quando parti per un viaggio di due ore e dopo due minuti inizi a sentire da dietro “siamo arrivati? quando siamo arrivati? siamo arrivati? quando siamo arrivati? siamo arrivati? quando siamo arrivati?”
è quando il suo succo di mela finisce casualmente sopra la tastiera del tuo mac dove sta passando Sam il Pompiere che con le emergenze se la cava bene ma che del tuo computer un po’ se ne sbatte,
è quando ti chiede la stessa storia ogni sera per tre mesi consecutivi e guai se cambi una parola o accorci di una frase, maledetta la RAM di un treenne, voi non avete idea.
In questi momenti, che per fare bene il loro dovere si sommano piacevolmente l’uno sull’altro creando la torre di Babele della frustrazione materna, la tentazione di rassegnare le dimissioni bussa alla porta del mio nervosismo.
E proprio in quel momento, ogni volta tutte le volte, lui, il piccolo, il grande o entrambi mi guardano con gli occhi luccicosi.
Una sbava al posto di un bacio, un abbraccio al gusto di cocciolata e la torre di babele si sgretola miseramente.
A volte li vorresti dare indietro ma dura poco.
E comunque io ho controllato: sul certificato di nascita non ci sono indicazioni per il reso, così come su di loro non c’è il pulsante per spegnerli.
E con questo post senza ricetta chiudo il tris di scritti su figli e maternità, che altrimenti divento monotona e mi annoio da sola.
Dal prossimo parliamo di polpacci maschili tatuati, di gare di corsa da preparare e se vi va ci spariamo anche qualche pippa introspettiva da paura sul perfezionismo.
E magari vi dico anche come uso il tofu io, che non è mica così male ehhh. 😉
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