Sono una spaccamaroni.
Su wikipedia, a questa voce sono sicura che troverete la mia foto.
Sono una CHE critica, e parecchio.
Lo faccio però solo quando vesto l’abito del cliente: co’ pago insomma!
Oddio, Fra potrebbe obiettare a quest’ultima affermazione, ma lui non mi legge e comunque è escluso da questi ragionamenti (che poi se non ti sfoghi col tuo amato compagno con chi lo fai, dico io?).
Torniamo a bomba.
Non mi piace definirmi una cliente esigente: so shakerare le aspettative con una grande tolleranza rispetto a cose che considero non centrali, o che possono essere compensate da un servizio particolamente piacevole.
Insomma valuto il prodotto solo dentro l’esperienza: a fronte di comportamenti e attenzioni che alzano l’asticella della piacevolezza generale quindi, sono molto meno pretenziosa rispetto a ciò che compro. Purchè questo si mantenga su un livello comunque accettabile e assolutamente non di valore inferiore al prezzo che pago, ovvio.
Tutto questo per dire che sono soprattutto i comportamenti a determinare la mia (in)soddisfazione.
E siccome io frequento più caffetterie e birrerie che boutique e ristoranti stellati, ecco le mie spassionate considerazioni, da spaccamaroni impenitente che mangia fuori, rivolte direttamente a chi lavora nel settore o amerebbe fare l’oste, (che pare facile, ma…):
#1 IL CONCERTO DI PIATTINI DELLE 08:05: NON SI PUO’ SENTIRE
che è mattina e noi si viene al bar perchè è bello concedersi 5 minuti di relax prima di iniziare una lunga giornata lavorativa, e lo sappiamo che tu barista sei già al lavoro da mo’ e ne hai le scatole piene di noialtri avventori, ma sù, dai, un po’ di delicatezza.
#2 UN CAFFÈ, E UN SORRISO GRAZIE
io non dico mica di farci i complimenti quando entriamo, ma un sorriso non si nega a nessuno, anche se è mattina, e pure se è sera, anche se un’ape ti ha punto il culo o se tuo figlio quattordicenne ti tira matta che c’ha la rivoluzione ormonale in corpo e tu non ne puoi più… un sorriso solo, che fa più buono il caffè. (Lo so che sembra il punto più banale, ma è quello su cui inciampa la maggioranza).
#3 TI VORREI PAGARE, MA SE NON HAI TEMPO DI VENIRE IN CASSA…
che poi è un controsenso, voglio dire: mi servi alla velocità della luce per poi lasciarmi in cassa 20 minuti? se è un problema di processi e di organizzazione interna ti mando Filippo Belletti e vedrai che ti sistema tutto. Ma vogliamo arrivare a tanto?
#4 ANCH’IO LITIGO CON POZZAN, MA MAI DAVANTI AL CLIENTE
ti svelo un segreto caro il mio oste: noi clienti ti ascoltiamo, anche quando sembriamo addormentati, quando fingiamo di leggere il giornale, quando ci nascondiamo dietro la tazza fumante… noi ti ascoltiamo, ti osserviamo, ti studiamo, è il nostro passatempo preferito. Ed è davvero poco elegante renderci testimoni dei tuoi bisticci con i colleghi, che ci incupiscono la giornata, ci fanno pure fare congetture poco edificanti, ma soprattutto, non ci stimolano a tornare, che già ne abbiamo abbastanza con le nostre, di rogne.
#5 TAZZINA CALDA SI, BICCHIERE CALDO TI SPARO!
e su questo punto non aggiungo altro se non un “perdio!”.
#6 SE NON SAI AIUTARMI A DECIDERE, DECIDO CHE CAMBIO
sì lo so, a volte sono indecisa… vorrei questo e pure quest’altro, oppure non so valutare l’abbinamento vino-cibo, allora alzo lo sguardo e ti offro la possibilità di spiattellare tutta la tua professionalità, che se è vero che le commesse nei negozi devono saper vestire i clienti, è altrettanto vero che gli osti e/o camerieri dovrebbero saper consigliare i commensali. Tu invece mi guardi con quell’occhio tra lo sperso e lo spazientito, col piedino che sbatte per terra e la penna che rimbalza sul blocco delle ordinazioni. E la risposta più intelligente la pigli a caso tra “decida lei, qui è tutto buono”, “le porto la lista dei vini” e un imbarazzante “non saprei, se vuole le lascio altri 5 minuti…”
#7 DEL MENÙ DEVI CONOSCERE I PIATTI, MA PURE COME SONO FATTI…
Quando non capisco una cosa io chiedo, è più forte di me, perchè sul cibo raramente mi affido al caso, voglio capire, quindi chiedo. “Non so, vado a chiedere in cucina” è una risposta piacevole come un pezzo di carne che ti si infila tra i denti, e per quanto tu ravani con la lingua quello non si scolla da lì, avete presente? Ma io dico, è proprio davanti al menù che si ha l’opportunità di valorizzare il locale: spiegando, coinvolgendo, stimolando curiosità e appetito… forse non lo sai, ma il tuo lavoro è vendere, non raccogliere ordinazioni! Fammi sbavare, ti chiedo solo questo, fammi sbavare, poi io compro e giuro che mangio tutto.
#8 SOLO BUON SENSO, MICA SESTO SENSO
Ci sono cose che si vedono e si prevedono… cose facili ehhh, che però ti qualificano. Se ordino un piatto di pappardelle per Ettore, non ci vuole mica un genio a capire che un quasi-duenne l’arte di arrotolare la pasta sulla forchetta ancora non l’ha fatta propria. Il cucchiaio è la risposta. Sarà mica senso sento questo?!! Io non ho nessun problema a domandare (fa parte del bagaglio in dotazione alle rompimaroni madri), ma quanto più carino sarebbe se ci avesse pensato chi di dovere? Piccoli accorgimenti che ti faranno amare, giuro!
#9 ALLENARSI PER I 100 METRI, ANCHE NO
Qui faccio outing e ringrazio chi mi ha ripresa più volte per la mia velocità…hemm, diciamo pure frettolosità. Che io pensavo fosse espressione di sollecitudine sgambettare su e giù per la sala come un furetto, invece ho scoperto che più facilmente viene percepito come fretta e poca cura. Chiariamoci, non puoi farmi aspettare mezz’ora una birra o camminare così lentamente che dalla cucina al tavolo il piatto si fredda, ma correre è davvero un comportamento che mette inconsapevolmente a disagio chi è venuto a rilassarsi. La sollecidutine è una cosa, i 100 metri un’altra.
Queste sono le mie 9 fisse sul comportamento, non sul prodotto (che lì dovremmo aprire un altro post e starci qualche ora).
Ma io, che non sono una critica gastronomica, una sommelier e neanche una che guarda masterchef in TV, costruisco buona parte del mio rating sulla base di questi 9 punti e sono sempre meno disponibile a fare compromessi.
Il decimo invece non ha che fare necessariamente solo con il prodotto o solo con i comportamenti, però ce lo metto lo stesso, perchè fa la differenza: è qualcosa che ha a che vedere conil posizionamento e risponde alla domanda “perchè devo venire da te?”.
10# LA MEDIOCRITA’ È UNA SPECIE IN ESTINZIONE (SPERO)
Lo dice un’eccellente mediocre. Che io non sono un genio su niente ma mi impegno, anche per distinguermi se posso.
Un po’ perchè mi diverto a farlo (egocentrica come pochi), ma anche perchè la “concorrenza” è in agguato e senza dubbio perchè c’è un gran valore nel cercare di fare le cose buone ma anche bene (e potendo, belle). Con un po’ di stile e di personalità, con cura e attenzione.
Oppure, cambiamo punto di vista: perchè noi clienti abbiamo fin troppe possibilità di scelta, e ci piace cambiare, siamo degli infedeli esperienziali (i gialli e i rossi soprattutto).
Distinguersi non significa mica diventare chef stellati o andare in top ten su tripadvisor. Significa avere un’identità e decidere di caratterizzarsi. Metterci la virgola, scegliere da che parte stare, offrire un’esperienza che diventi ricordo e gancio per farci tornare, magari in compagnia. E costruire tutto questo con buona coerenza tra prodotto, servizio, prezzo e identità.
Ecco, la spaccamaroni ha finito di pontificare.
E nella sua grande bontà offre a tutti la colazione, col sorriso e senza sbattere i piattini.
Vi offro una fetta di Fluffosa al grano saraceno.
La fluffosa è un dolce morbidissimo, leggero come una nuvola, che non ti ingozza (cioè non ti tocca berci dietro mezzo litro di caffè per farla scivolare in stomaco).
Se cercate nel web troverete tantissime varianti, io ho sperimentato la farina di grano saraceno che amo tanto per il gusto e per la sua rusticità.
Potete poi farcirla di marmellata o spalmarne le fette: buonissima!
Fluffosa al grano saraceno
Ingredienti
180 gr farina 0
110 gr farina grano saraceno
50 gr frutta secca a piacere (io mandorle e nocciole) tritata
1 cucchiaio di semi di papavero
170 gr zucchero
1 bustina di lievito per dolci
3 gr di bicarbonato di sodio
120 gr di olio di semi (arachidi io)
7 tuorli
7 albumi montati a neve
140 gr acqua
vaniglia
2 cucchiai di amaro alla prugna
Come si fa…
Scaldate il forno a 170°.
Unire senza mescolare nel seguente ordine: le due farine, zucchero, lievito e bicarbonato, tuorli, frutta secca e semi di papavero, olio, acqua, liquore e un pizzico di vaniglia.
Ammalgamare tutto con le fruste elettriche.
Unire da ultimi gli albumi montati a neve con un pizzico di sale.
Versare il composto un una tortiera da Angel Cake non imburrata oppure in uno stampo da ciambella imburrato.
Far cuocere a 165° per 50 minuti e a 175° per altri 10.
Togliere dal forno e far riposare capovolta (la tortiera da angel cake ha i piedini apposta, per lo stampo da ciambella basta usare una bottiglia: infilate il collo della bottiglia nel buco della tortiera capovolta e aspettate almeno 10 ore prima di togliere il dolce).
2 Comments
Ti amo.
Punto 2, 3 e 8 su tutti. Baci, bella donna esigente!
Eccomi Elisabetta… scusa il ritardo!! un bacio a te, che ci sei sempre, sei super